E la città, adesso, è come una mappa
delle mie umiliazioni e fallimenti;
da quella porta ho visto i tramonti
e davanti a quel marmo ho aspettato invano.
Qui l'incerto ieri e l'oggi diverso
mi hanno offerto i comuni casi
di ogni sorte umana; qui i miei passi
ordiscono il loro incalcolabile labirinto.
Qui la sera cenerognola aspetta
il frutto che le deve il mattino;
qui la mia ombra nella non meno vana
ombra finale si perderà, leggera.
Non ci unisce l'amore ma lo spavento;
sarà per questo che l'amo tanto.
Jorge Luis Borges
giovedì 27 dicembre 2012
domenica 23 dicembre 2012
Dove, in quali beati giardini sempre freschi
Dove, in quali beati giardini sempre freschi,
su quali alberi, da quali calici che teneri sfioriscono
maturano gli strani frutti che consolano? Delizia
che forse raccogli nel prato calpestato
della tua povertà. Di volta in volta
il tuo stupore è per il frutto - pieno, sano,
liscio nella scorza - e ti sorprende che il volo
leggero dell'uccello non te l'abbia già rubato, o la gelosia
del verme laggiù. Esistono alberi sfiorati d'ali di angeli
e cresciuti nelle cure così strane di lenti e segreti
giardinieri,
alberi che ci recano quel frutto e che mai sono nostri?
Potremmo mai turbare, noi, ombre e fantasmi,
acerbi e appassiti nell'istante che matura
il calmo abbandono di quell'estiva indifferenza?
Rainer Maria Rilke
su quali alberi, da quali calici che teneri sfioriscono
maturano gli strani frutti che consolano? Delizia
che forse raccogli nel prato calpestato
della tua povertà. Di volta in volta
il tuo stupore è per il frutto - pieno, sano,
liscio nella scorza - e ti sorprende che il volo
leggero dell'uccello non te l'abbia già rubato, o la gelosia
del verme laggiù. Esistono alberi sfiorati d'ali di angeli
e cresciuti nelle cure così strane di lenti e segreti
giardinieri,
alberi che ci recano quel frutto e che mai sono nostri?
Potremmo mai turbare, noi, ombre e fantasmi,
acerbi e appassiti nell'istante che matura
il calmo abbandono di quell'estiva indifferenza?
Rainer Maria Rilke
mercoledì 28 novembre 2012
Restai insaziata tutti i miei anni
Restai insaziata tutti i miei anni.
Arrivato il pomeriggio, tremante
avvicinai il tavolo per mangiare
e assaggiai un vino strano,
quello che avevo visto sulle tavole
quando affamata - tornando a casa -
guardavo attraverso i vetri la ricchezza
che non speravo di possedere mai.
Non conobbi l'abbondanza del pane -
era diversa la briciola
che avevo divisa con gli uccelli
nella sala da pranzo della natura.
Il troppo mi urta - è così insolito.
Mi sentivo a disagio, spaesata -
come una bacca ai fratta montana
trapiantata sulla strada.
E non avevo fame. Allora capii
che la fame è un istinto
di chi guarda le vetrine dal di fuori.
L'entrare, la disperde.
Emily Dickinson

avvicinai il tavolo per mangiare
e assaggiai un vino strano,
quello che avevo visto sulle tavole
quando affamata - tornando a casa -
guardavo attraverso i vetri la ricchezza
che non speravo di possedere mai.
Non conobbi l'abbondanza del pane -
era diversa la briciola
che avevo divisa con gli uccelli
nella sala da pranzo della natura.
Il troppo mi urta - è così insolito.
Mi sentivo a disagio, spaesata -
come una bacca ai fratta montana
trapiantata sulla strada.
E non avevo fame. Allora capii
che la fame è un istinto
di chi guarda le vetrine dal di fuori.
L'entrare, la disperde.
Emily Dickinson
giovedì 1 novembre 2012
Osservando i canottieri a San Sabba
sabato 27 ottobre 2012
Il grido dell'acqua
O acqua, voce del mio cuore, che gridi tra la sabbia,
Tutta la notte gridi con lugubre grido,
Mentre io giaccio e ascolto e non so capire
La voce del mio cuore nel mio fianco o la voce del mare,
O acqua che gridi invocando riposo, sono io? sono io?
Tutta la notte l'acqua leva grido verso di me.
Acqua senza pace, mai sarà riposo
Fin che l'ultima luna tramonti e cali l'ultima marea,
E il fuoco della fine prenda ad ardere in occidente;
E il cuore sarà stanco e smarrito e griderà come il mare,
Tutta la vita gridando senza giovamento,
Come l'acqua tutta la notte leva grido verso di me.
Arthur Symons
Tutta la notte gridi con lugubre grido,
Mentre io giaccio e ascolto e non so capire
La voce del mio cuore nel mio fianco o la voce del mare,
O acqua che gridi invocando riposo, sono io? sono io?
Tutta la notte l'acqua leva grido verso di me.
Acqua senza pace, mai sarà riposo
Fin che l'ultima luna tramonti e cali l'ultima marea,
E il fuoco della fine prenda ad ardere in occidente;
E il cuore sarà stanco e smarrito e griderà come il mare,
Tutta la vita gridando senza giovamento,
Come l'acqua tutta la notte leva grido verso di me.
Arthur Symons
mercoledì 17 ottobre 2012
Romance della luna, luna
La luna è giunta alla forgia,
in crinolina di nardi.
Il bimbo la guarda, guarda.
Il bimbo la sta guardando.
Nel turbamento dell'aria
muove la luna le braccia
e mostra, lubrica e pura,
i seni di duro stagno.
Fuggi luna, luna, luna.
Se venissero i gitani,
farebbero col tuo cuore
collane e anelli bianchi.
Bimbo, lasciami ballare.
Quando verranno i gitani,
tu giacerai sull'incudine
come fossi addormentato.
Fuggi luna, luna, luna,
sento già i loro cavalli.
Bimbo, attento, non pestarmi
quest'albore inamidato.
Il cavaliere giungeva
sulla pianura, rullando.
Dentro la forgia il bambino,
giace come addormentato.
Venivano tra gli olivi,
bronzo e sogno, i gitani.
Con le palpebre socchiuse
e le teste sollevate.
Come canta il barbagianni,
ah come canta sull'albero!
Vola nel cielo la luna
con un bambino per mano.
Piangono dentro la forgia,
lanciando grida, i gitani.
Il vento la veglia, veglia.
Il vento la sta vegliando.
Federico Garcia Lorca
in crinolina di nardi.
Il bimbo la guarda, guarda.
Il bimbo la sta guardando.
Nel turbamento dell'aria
muove la luna le braccia
e mostra, lubrica e pura,
i seni di duro stagno.
Fuggi luna, luna, luna.
Se venissero i gitani,
farebbero col tuo cuore
collane e anelli bianchi.
Bimbo, lasciami ballare.
Quando verranno i gitani,
tu giacerai sull'incudine
come fossi addormentato.
Fuggi luna, luna, luna,
sento già i loro cavalli.
Bimbo, attento, non pestarmi
quest'albore inamidato.
Il cavaliere giungeva
sulla pianura, rullando.
Dentro la forgia il bambino,
giace come addormentato.
Venivano tra gli olivi,
bronzo e sogno, i gitani.
Con le palpebre socchiuse
e le teste sollevate.
Come canta il barbagianni,
ah come canta sull'albero!
Vola nel cielo la luna
con un bambino per mano.
Piangono dentro la forgia,
lanciando grida, i gitani.
Il vento la veglia, veglia.
Il vento la sta vegliando.
Federico Garcia Lorca
giovedì 6 settembre 2012
Abbiamo tutta una vita
Abbiamo tutta una vita
da NON vivere insieme.
Sugli scaffali di Dio
s'impolverano i gesti possibili:
le mosche cherubiche insozzano
le nostre carezze;
stanno appollaiati come gufi
i sentimenti impagliati.
"Merce inesitata" - griderà l'angelo d'ottone -
dieci casse di vite, di possibili.
E avremo anche una morte da morire:
una morte casuale, innecessaria,
distratta, senza te.
Giorgio Manganelli
da NON vivere insieme.
Sugli scaffali di Dio
s'impolverano i gesti possibili:
le mosche cherubiche insozzano
le nostre carezze;
stanno appollaiati come gufi
i sentimenti impagliati.
"Merce inesitata" - griderà l'angelo d'ottone -
dieci casse di vite, di possibili.
E avremo anche una morte da morire:
una morte casuale, innecessaria,
distratta, senza te.
Giorgio Manganelli
venerdì 31 agosto 2012
E sto abbracciato a te
E sto abbracciato a te
senza chiederti nulla, per timore
che non sia vero
che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze,
quella solitudine immensa
d'amarti solo io.
Pedro Salinas
mercoledì 22 agosto 2012
Conchiglia
Notte, forse di me non hai bisogno;
dalla voragine dell’universo
io, conchiglia senza perle, sono
gettato sulla tua proda, riverso.
dalla voragine dell’universo
io, conchiglia senza perle, sono
gettato sulla tua proda, riverso.
Con noncuranza fai schiumare i flutti
e riottosamente vai cantando;
ma la bugia d’una conchiglia inutile
ti sarà oggetto d’amore e di vanto.
e riottosamente vai cantando;
ma la bugia d’una conchiglia inutile
ti sarà oggetto d’amore e di vanto.
Verrai a giacerle accanto sulla sabbia,
e a ricoprirla della tua pianeta;
a renderla, verrai, inseparabile
dall’enorme campana degli abissi irrequieti;
e a ricoprirla della tua pianeta;
a renderla, verrai, inseparabile
dall’enorme campana degli abissi irrequieti;
e il vano della fragile conchiglia –
nido di un cuore ove nessuno alloggia –
ricolmerai di schiuma che bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…
nido di un cuore ove nessuno alloggia –
ricolmerai di schiuma che bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…
Osip Mandel'stam
mercoledì 15 agosto 2012
I ragazzi che si amano
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore
Jacques Prévert
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore
Jacques Prévert
sabato 11 agosto 2012
Presi le briglie
Presi le briglie,
andai in giro a cavallo
dell'alba;
penetrai, candido, nella vita.
Come mi guardavano,
folli,
i fiori del mio sogno,
tendendo le braccia alla luna!
Juan Ramòn Jiménez
andai in giro a cavallo
dell'alba;
penetrai, candido, nella vita.
Come mi guardavano,
folli,
i fiori del mio sogno,
tendendo le braccia alla luna!
Juan Ramòn Jiménez
martedì 31 luglio 2012
Tempo di marito
Mi sfuggi, Cloe: sei come un cerbiatto
che cerca alla montagna senza vie
la madre spaventata, e porta in cuore
timore vago di vento e di selva:
e se al venire della primavera
abbrivida la frasca,
se il ramarro sfruscia tra il rovo,
tremi nel cuore e nei ginocchi.
Ma non t'inseguo io come una tigre feroce,
un leone d'Africa, non voglio infrangerti.
Allora lascia la madre,
è tempo di marito.
Quinto Orazio Flacco
che cerca alla montagna senza vie
la madre spaventata, e porta in cuore
timore vago di vento e di selva:
e se al venire della primavera
abbrivida la frasca,
se il ramarro sfruscia tra il rovo,
tremi nel cuore e nei ginocchi.
Ma non t'inseguo io come una tigre feroce,
un leone d'Africa, non voglio infrangerti.
Allora lascia la madre,
è tempo di marito.
Quinto Orazio Flacco
mercoledì 25 luglio 2012
Dopo aver letto "Antonio e Cleopatra"
Come quando la caccia nei boschi e nei campi
incalza nella lotta e nei suoni di corno,
cosi' una fame di cose senza speranza bracca
i nostri spiriti per tutta la vita.
Il boato del mare ci pervade addolorati, pieni
di desiderio senza oggetto,
il boato del mare e il raggio di luna bianco
e il rosseggiare del fuoco.
Chi mi parla di ragione, adesso?
Sarebbe stata una gioia piu' grande
essere morti nelle braccia di Cleopatra
che essere vivi, stanotte.
Robert Louis Stevenson
venerdì 20 luglio 2012
Frammenti
Ma la cosa migliore non furono quei baci
e neppure le passeggiate serali, o i nostri segreti.
La cosa migliore era la forza che quell'Amore mi dava,
la forza lieta di vivere e di lottare per lei,
di camminare sull'acqua e sul fuoco.
Potersi buttare, per un istante,
poter sacrificare degli anni
per il sorriso di una donna:
questa sì che è felicità, e io non l'ho perduta.
Hermann Hesse
sabato 14 luglio 2012
La vita... è ricordarsi
La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
Sandro Penna
venerdì 6 luglio 2012
La rosa bianca
Coglierò per te
l'ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l'hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E' un ritratto di te a trent'anni,
un po' smemorata, come tu sarai allora
Attilio Bertolucci
l'ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l'hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E' un ritratto di te a trent'anni,
un po' smemorata, come tu sarai allora
Attilio Bertolucci
domenica 1 luglio 2012
Perchè taccia
Perché taccia il rumor di mia catena
di lagrime, di speme, e di amor vivo,
e di silenzio; ché pietà mi affrena,
se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte Amor seco mi mena,
qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la piena.
E narro come i grandi occhi ridenti
arsero d'immortal raggio il mio core,
come la rosea bocca, e i rilucenti
odorati capelli, e il candore
delle divine membra, e i cari accenti
m'insegnarono alfin pianger d'amore.
Ugo Foscolo
di lagrime, di speme, e di amor vivo,
e di silenzio; ché pietà mi affrena,
se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte Amor seco mi mena,
qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la piena.
E narro come i grandi occhi ridenti
arsero d'immortal raggio il mio core,
come la rosea bocca, e i rilucenti
odorati capelli, e il candore
delle divine membra, e i cari accenti
m'insegnarono alfin pianger d'amore.
Ugo Foscolo
Oltre il ponte
O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d'aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all'eta` che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la citta` dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'e` in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita e` oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l'armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent'anni...
Non e` detto che fossimo santi
l'eroismo non e` sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non e` vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l'avvenire di un giorno piu' umano
e piu' giusto piu' libero e lieto.
Avevamo vent'anni...
Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c'eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell'aurora.
Italo Calvino
martedì 26 giugno 2012
Prince Charmant
Nel
languido svenire dei teneri
Pomeriggi che muoiono voluttuosamente
L’ho cercato in mezza a tutta la gente.
L’ho cercato nelle ore silenziose
Delle notti della mia anima tenebrose!
Bocca che sanguina baci, fiore che sente…
Occhi assorti in un sogno, umilmente…
Mani piene di violette e rose…
E mai l’ho incontrato!… Prince Charmant
Come cavaliere audace di racconti vecchi
Forse nelle nuvole della mattina verrà.
Ah! Tutta la nostra vita va come una chimera
Tessendo in fragili dita fragili merletti
- Non si incontra mai Colui che si spera!…
Florbela Espanca (1894-1930)
Pomeriggi che muoiono voluttuosamente
L’ho cercato in mezza a tutta la gente.
L’ho cercato nelle ore silenziose
Delle notti della mia anima tenebrose!
Bocca che sanguina baci, fiore che sente…
Occhi assorti in un sogno, umilmente…
Mani piene di violette e rose…
E mai l’ho incontrato!… Prince Charmant
Come cavaliere audace di racconti vecchi
Forse nelle nuvole della mattina verrà.
Ah! Tutta la nostra vita va come una chimera
Tessendo in fragili dita fragili merletti
- Non si incontra mai Colui che si spera!…
Florbela Espanca (1894-1930)
venerdì 22 giugno 2012
Fascino
Vischio è il tuo bacio, Timario,
fuoco gli occhi tuoi.
Brucia il tuo sguardo,
la tua carezza strugge.
Meleagro di Gàdara (II sec a.C.)
fuoco gli occhi tuoi.
Brucia il tuo sguardo,
la tua carezza strugge.
Meleagro di Gàdara (II sec a.C.)
mercoledì 20 giugno 2012
I fiori mi dicono addio
I fiori mi dicono addio, Scrollando in giù le corolle, Perch'io mai più rivedrò Il suo volto e il paese natio. Non importa, mia cara, non importa! Li ho visti ed ho visto la terra, E accolgo questo brivido tombale Come se fosse una nuova carezza. E poiché penetrai l'intera vita Passandole dinanzi sorridendo, Mi dico ad ogni istante Che a questo mondo tutto si ripete. Verrà un altro, e che importa! La tristezza Non cancella chi parte: per la donna Abbandonata e cara comporrà Il successore un canto ancor più bello. E nel silenzio ascoltandolo Dal nuovo amante l'amata, Di me può darsi si ricorderà Come di un fiore che non si ripete.
Sergej Esenin
martedì 19 giugno 2012
Tanto gentile e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Da: Vita Nova
Dante Alighieri
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Da: Vita Nova
Dante Alighieri
venerdì 15 giugno 2012
Ricordo una stagione
Ricordo una stagione in mezzo a colli
immensi, affaticata dal soffiare
della notturna tramontana. Un gelso
gemeva negli strappi, così alto
che talora il suo grido mi svegliava.
Ieri nel ritornarvi non sembrava
passato altro che un giorno.
La tramontana ci infuriava intorno.
Contro il cancello, intatta, era restata
una mia antica rosa morsicata.
Come un grumo di sangue
quest'ora buia al tempo si rapprende.
Più nessuna barriera mi difende
dal vento amaro.
L'estate in gloria che su queste strade
per me ha brillato un giorno, ora sepolta
mi mulina le ceneri sul cuore.
E' notte e inverno. E tu sei morto, amore.
Maria Luisa Spaziani
immensi, affaticata dal soffiare
della notturna tramontana. Un gelso
gemeva negli strappi, così alto
che talora il suo grido mi svegliava.
Ieri nel ritornarvi non sembrava
passato altro che un giorno.
La tramontana ci infuriava intorno.
Contro il cancello, intatta, era restata
una mia antica rosa morsicata.
Come un grumo di sangue
quest'ora buia al tempo si rapprende.
Più nessuna barriera mi difende
dal vento amaro.
L'estate in gloria che su queste strade
per me ha brillato un giorno, ora sepolta
mi mulina le ceneri sul cuore.
E' notte e inverno. E tu sei morto, amore.
Maria Luisa Spaziani
domenica 10 giugno 2012
Nostalgia
Là in Maremma ove fiorio
La mia triste primavera,
La' rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
La' nel cielo librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co'l tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.
La mia triste primavera,
La' rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
La' nel cielo librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co'l tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.
Giosuè Carducci
martedì 5 giugno 2012
All'orecchio di una ragazza
Non volli.
Non volli dirti nulla.
Vidi nei tuoi occhi
due alberelli folli.
Di brezza, di riso e d'oro.
Oscillavano.
Non volli.
Non volli dirti nulla.
Federico Garcia Lorca
sabato 2 giugno 2012
Antico, sono ubriacato dalla voce
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annullavano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
Eugenio Montale
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annullavano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
Eugenio Montale
martedì 29 maggio 2012
Vengano infine
Vengano infine le alte allegrie,
le ardenti aurore, le notti calme,
venga la pace agognata, le armonie,
e il riscatto del frutto, e il fiore delle anime.
Che vengano, amor mio,
perché questi giorni
son di stanchezza mortale,
di rabbia e agonia
e nulla.
Josè Saramago
le ardenti aurore, le notti calme,
venga la pace agognata, le armonie,
e il riscatto del frutto, e il fiore delle anime.
Che vengano, amor mio,
perché questi giorni
son di stanchezza mortale,
di rabbia e agonia
e nulla.
Josè Saramago
lunedì 28 maggio 2012
Hospes comesque
Corpo, facchino dell'anima, in cui sperare forse
sarebbe vano, amato corpo, più che non amarti;
cuore in un vivente ciborio trasmutato;
bocca senza fine tesa alle più nuove esche.
sarebbe vano, amato corpo, più che non amarti;
cuore in un vivente ciborio trasmutato;
bocca senza fine tesa alle più nuove esche.
Mari dove si può vogare, sorgenti dove si può bere;
frumento e vino misti al banchetto rituale;
alibi del sonno, dolce cavità nera;
inseparabile terra offerta a tutti i nostri passi.
frumento e vino misti al banchetto rituale;
alibi del sonno, dolce cavità nera;
inseparabile terra offerta a tutti i nostri passi.
Aria che mi colmi di spazio e di equilibrio;
brividi lungo i nervi; spasmi di fibra in fibra;
occhi sull'immenso vuoto per poco tempo aperti.
brividi lungo i nervi; spasmi di fibra in fibra;
occhi sull'immenso vuoto per poco tempo aperti.
Corpo, vecchio mio compagno, noi moriremo insieme.
Come non amarti, forma a cui io somiglio,
se è nelle tue braccia che stringo l'universo?
Come non amarti, forma a cui io somiglio,
se è nelle tue braccia che stringo l'universo?
Marguerite Yourcenar
domenica 27 maggio 2012
Lontano
Dire vorrei questo ricordo... Ma
s'è così spento... quasi nulla resta:
lontano, ai primi anni d'adolescenza, posa.
Pelle di gelsomino...
E la sera d'agosto (agosto fu?)
Ormai ricordo appena gli occhi: azzurri, forse...
Oh, azzurri, sì! Come zaffiro azzurri.
Costantino Kavafis
s'è così spento... quasi nulla resta:
lontano, ai primi anni d'adolescenza, posa.
Pelle di gelsomino...
E la sera d'agosto (agosto fu?)
Ormai ricordo appena gli occhi: azzurri, forse...
Oh, azzurri, sì! Come zaffiro azzurri.
Costantino Kavafis
sabato 26 maggio 2012
I miei incantesimi sono infranti
I miei incantesimi sono infranti.
La penna mi cade, impotente, dalla mano tremante.
Se il mio libro è il tuo caro nome, per quanto mi preghi,
non posso più scrivere. Non posso pensare, né parlare,
ahimè non posso sentire più nulla,
poiché non è nemmeno un'emozione,
questo immobile arrestarsi sulla dorata
soglia del cancello spalancato dei sogni,
fissando in estasi lo splendido scorcio,
e fremendo nel vedere, a destra
e a sinistra, e per tutto il viale,
fra purpurei vapori, lontano
dove termina il panorama nient'altro che Te.
Edgar Allan Poe
La penna mi cade, impotente, dalla mano tremante.
Se il mio libro è il tuo caro nome, per quanto mi preghi,
non posso più scrivere. Non posso pensare, né parlare,
ahimè non posso sentire più nulla,
poiché non è nemmeno un'emozione,
questo immobile arrestarsi sulla dorata
soglia del cancello spalancato dei sogni,
fissando in estasi lo splendido scorcio,
e fremendo nel vedere, a destra
e a sinistra, e per tutto il viale,
fra purpurei vapori, lontano
dove termina il panorama nient'altro che Te.
Edgar Allan Poe
lunedì 14 maggio 2012
Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
La sera cullava già la terra,
e sui monti si posava la notte;
se ne stava vestita di nebbia la quercia,
gigantesca guardiana, là
dove la tenebre dai cespugli
con cento occhi neri guardava.
Da un cumulo di nubi la luna
sbucava assonnata tra le nebbie;
i venti agitavano le ali sommesse,
sibilavano orridi al mio orecchio;
la notte generava migliaia di mostri,
ma io mille volte più coraggio avevo;
il mio spirito era un fuoco ardente,
il mio cuore intero una brace.
Ti vidi, e una mite gioia
passò dal tuo dolce sguardo su di me;
fu tutto per te il mio cuore,
fu tuo ogni mio respiro.
Una rosea primavera
colorava l'adorabile volto,
e tenerezza per me, o numi,
m'attendevo, ma meriti non avevo.
L'addio, invece, mesto e penoso.
Dai tuoi occhi parlava il cuore;
nei tuoi baci quanto amore,
oh che delizia, e che dolore!
Partisti, e io restai, guardando a terra,
guardando te che andavi, con umido sguardo;
eppure, che gioia essere amati,
e amare, o numi, che gioia!
E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
La sera cullava già la terra,
e sui monti si posava la notte;
se ne stava vestita di nebbia la quercia,
gigantesca guardiana, là
dove la tenebre dai cespugli
con cento occhi neri guardava.
Da un cumulo di nubi la luna
sbucava assonnata tra le nebbie;
i venti agitavano le ali sommesse,
sibilavano orridi al mio orecchio;
la notte generava migliaia di mostri,
ma io mille volte più coraggio avevo;
il mio spirito era un fuoco ardente,
il mio cuore intero una brace.
Ti vidi, e una mite gioia
passò dal tuo dolce sguardo su di me;
fu tutto per te il mio cuore,
fu tuo ogni mio respiro.
Una rosea primavera
colorava l'adorabile volto,
e tenerezza per me, o numi,
m'attendevo, ma meriti non avevo.
L'addio, invece, mesto e penoso.
Dai tuoi occhi parlava il cuore;
nei tuoi baci quanto amore,
oh che delizia, e che dolore!
Partisti, e io restai, guardando a terra,
guardando te che andavi, con umido sguardo;
eppure, che gioia essere amati,
e amare, o numi, che gioia!
Johann Wolfgang Goethe
venerdì 11 maggio 2012
Quei luoghi gentili
E noi li abbiamo lasciati quei luoghi gentili
Con passo pesante, verso il nuovo calvario,
Di qui osserviamo, come chi allo specchio
Veda il proprio volto,
L'umanità suicida.
Capiamo quali spettri orribili
La mano rossa dell'uomo
Sappia fare sorgere.
Oscar Wilde
mercoledì 9 maggio 2012
O iubelo del cuore
O iubelo del cuore,
che fai cantar d'amore!
Quanno iubel se scalda,
si fa l'omo cantare,
e la lengua barbaglia
e non sa che parlare:
dentro non po' celare,
tnat'e' granne 'l dolzore.
Quanno iubel e' acceso,
si' fa l'omo clamare;
lo cor d'amor e' appreso,
che nol po' comportare:
stridenno el fa gridare,
e non virgogna allore.
Quanno iubelo ha preso
lo core ennamorato,
la gente l'ha 'n deriso,
pensammo el suo parlato,
parlanno esmesurato
de che sente calore.
Chi non ha costumanza
te reputa 'mpazzito,
vedenno esvalianza
com'om ch'e' desvanito;
dentr'ha lo cor ferito,
non se sente da fore.
Jacopone da Todi
che fai cantar d'amore!
Quanno iubel se scalda,
si fa l'omo cantare,
e la lengua barbaglia
e non sa che parlare:
dentro non po' celare,
tnat'e' granne 'l dolzore.
Quanno iubel e' acceso,
si' fa l'omo clamare;
lo cor d'amor e' appreso,
che nol po' comportare:
stridenno el fa gridare,
e non virgogna allore.
Quanno iubelo ha preso
lo core ennamorato,
la gente l'ha 'n deriso,
pensammo el suo parlato,
parlanno esmesurato
de che sente calore.
Chi non ha costumanza
te reputa 'mpazzito,
vedenno esvalianza
com'om ch'e' desvanito;
dentr'ha lo cor ferito,
non se sente da fore.
Jacopone da Todi
domenica 6 maggio 2012
Insonnia
La Luna nello specchio del comò
guarda milioni di miglia lontano
(e forse con orgoglio, a se stessa,
ma non sorride, non sorride mai)
via lontano lontano oltre il sonno,
o forse è una che dorme di giorno.
Se l'Universo volesse abbandonarla,
lei gli direbbe di andare all'inferno,
e troverebbe una distesa d'acqua
o uno specchio, sul quale indugiare.
Tu dunque metti gli affanni in un sacco
di ragnatele e gettalo nel pozzo
nel mondo alla rovescia dove
la sinistra è sempre la destra,
dove le ombre in realtà sono corpi,
dove restiamo tutta la notte svegli,
dove il cielo ha tanto poco spessore
quanto è profondo il mare e tu mi ami d'amore.
Elizabeth Bishop
guarda milioni di miglia lontano
(e forse con orgoglio, a se stessa,
ma non sorride, non sorride mai)
via lontano lontano oltre il sonno,
o forse è una che dorme di giorno.
Se l'Universo volesse abbandonarla,
lei gli direbbe di andare all'inferno,
e troverebbe una distesa d'acqua
o uno specchio, sul quale indugiare.
Tu dunque metti gli affanni in un sacco
di ragnatele e gettalo nel pozzo
nel mondo alla rovescia dove
la sinistra è sempre la destra,
dove le ombre in realtà sono corpi,
dove restiamo tutta la notte svegli,
dove il cielo ha tanto poco spessore
quanto è profondo il mare e tu mi ami d'amore.
Elizabeth Bishop
venerdì 4 maggio 2012
Mentono i versi che una volta ho scritto (Sonetto CXV)
Mentono i versi che una volta ho scritto, dissi:"Di più non ti potrei amare"; ma all'intelletto era allora incredibile ch'io, sì colmo, avvampassi ancor più chiaro. Guardando al tempo, che in vicende a mille scongiunge i voti e muta legge ai re, scurisce la beltà sacra, i più fini stempra, i forti nel suo flusso traveste; ah del tempo implacato nel timore come non dirti: "Ora t'amo nel culmine" quando l'incerto m'era certo e l'oggi incoronavo, del futuro in dubbio? E' un bimbo Amore, non dire dovevo, lasciar pienezza a quel che ancora cresce.
William Shakespeare
giovedì 3 maggio 2012
La compagna
Non ti ho cercata, non ti ho chiesta: sei venuta
e da quando sono nato mille cose ci son state
che ai miei occhi si son date con uguale
semplicità: il Sole, la mattina d'oggi,
questo fiore così gracile che non lo voglio,
il miracolo delle fonti nella calura...
Sei venuta (anche oggi il sole è venuto, e il fiore,
la mattina d'oggi, e le acque...). Allegria
ma allegria tacita, serena
intesa pura, incontro
naturale, naturale come l'arrivo
del Sole, del fiore, delle acque, del mattino,
di te che non avevo cercato né richiesto.
E l'Amore? E l'Amore? E l'Amore?
e da quando sono nato mille cose ci son state
che ai miei occhi si son date con uguale
semplicità: il Sole, la mattina d'oggi,
questo fiore così gracile che non lo voglio,
il miracolo delle fonti nella calura...
Sei venuta (anche oggi il sole è venuto, e il fiore,
la mattina d'oggi, e le acque...). Allegria
ma allegria tacita, serena
intesa pura, incontro
naturale, naturale come l'arrivo
del Sole, del fiore, delle acque, del mattino,
di te che non avevo cercato né richiesto.
E l'Amore? E l'Amore? E l'Amore?
Sei venuta.
Sebastião da gama
lunedì 30 aprile 2012
Il caso
Solo che un qualche iddio vendicativo mi chiamasse
Dall'alto cielo, e irridesse: "Tu, creatura che soffre,
Sappi che il tuo dolore è il mio diletto,
Che del tuo amore frustrato profitta il mio odio!".
Allora sopporterei, tenderei i nervi e morrei,
Rafforzato dal senso d'un ira immeritata;
Mezzo racconsolato dal pensiero, che un più potente di me
Avesse voluto e assegnato le lacrime ch'io piango.
Ma non così. Come accade che la gioia venga uccisa,
E perché avvizzisce la più dolce speranza mai seminata?
Il caso balordo s'oppone al sole e alla pioggia,
E il tempo biscazziere getta per allegria il dado d'un lamento...
Per questi giudici ciechi tanto valeva cospargere
Gioie lungo il mio cammino così come il dolore.
Dall'alto cielo, e irridesse: "Tu, creatura che soffre,
Sappi che il tuo dolore è il mio diletto,
Che del tuo amore frustrato profitta il mio odio!".
Allora sopporterei, tenderei i nervi e morrei,
Rafforzato dal senso d'un ira immeritata;
Mezzo racconsolato dal pensiero, che un più potente di me
Avesse voluto e assegnato le lacrime ch'io piango.
Ma non così. Come accade che la gioia venga uccisa,
E perché avvizzisce la più dolce speranza mai seminata?
Il caso balordo s'oppone al sole e alla pioggia,
E il tempo biscazziere getta per allegria il dado d'un lamento...
Per questi giudici ciechi tanto valeva cospargere
Gioie lungo il mio cammino così come il dolore.
venerdì 27 aprile 2012
Intorn'ad una fonte, in un pratello
Intorn'ad una fonte, in un pratello
di verdi erbette pieno e di bei fiori,
sedean tre angiolette, i loro amori
forse narrando, ed a ciascuna 'l bello
viso adombrava un verde ramicello
ch'i capei d'or cingea, al qual di fuori
e dentro insieme i dua vaghi colori
avvolgeva un suave venticello.
E dopo alquanto l'una alle due disse
(com'io udi'): "Deh, se per avventura
di ciascuna l'amante or qui venisse,
fuggiremo noi quinci per paura?".
A cui le due risposer: "Chi fuggisse,
poco savia saria, con tal ventura!".
di verdi erbette pieno e di bei fiori,
sedean tre angiolette, i loro amori
forse narrando, ed a ciascuna 'l bello
viso adombrava un verde ramicello
ch'i capei d'or cingea, al qual di fuori
e dentro insieme i dua vaghi colori
avvolgeva un suave venticello.
E dopo alquanto l'una alle due disse
(com'io udi'): "Deh, se per avventura
di ciascuna l'amante or qui venisse,
fuggiremo noi quinci per paura?".
A cui le due risposer: "Chi fuggisse,
poco savia saria, con tal ventura!".
Giovanni Boccaccio
domenica 22 aprile 2012
La notte
So poco della notte
ma la notte sembra sapere di me,
e in più, mi cura come se mi amasse,
mi copre la coscienza con le sue stelle.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è niente
e le congetture sopra di lei niente
e gli esseri che la vivono niente.
Forse le parole sono l'unica cosa che esiste
nell'enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l'anima con i loro ricordi.
Ma la notte deve conoscere la miseria
che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee.
Deve scaraventare odio sui nostri sguardi
sapendoli pieni di interessi, di non incontri.
Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
e grida che qualcosa se n'è andato per sempre.
Un giorno torneremo ad essere.
Alejandra Pizarnik
ma la notte sembra sapere di me,
e in più, mi cura come se mi amasse,
mi copre la coscienza con le sue stelle.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è niente
e le congetture sopra di lei niente
e gli esseri che la vivono niente.
Forse le parole sono l'unica cosa che esiste
nell'enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l'anima con i loro ricordi.
Ma la notte deve conoscere la miseria
che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee.
Deve scaraventare odio sui nostri sguardi
sapendoli pieni di interessi, di non incontri.
Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
e grida che qualcosa se n'è andato per sempre.
Un giorno torneremo ad essere.
Alejandra Pizarnik
Vides ut stet
Guarda come candido di neve svetta il Soratte! Già cedono i rami
stremati dal peso e i fiumi ristanno
stretti da acuto gelo.
Dissolvi il freddo, copiosa aggiungendo
legna alla fiamma e prodigo mesci,
Taliarco, vino di quattro anni
dall'anfora sabina a doppia ansa.
Lascia che gli Dei pensino al resto,
ché non appena i venti in lotta
sul mare ribollente placano ecco,
non s'agitano più i cipressi e i vecchi orni.
Cosa ti riserva domani, non chiedere.
ma ciascun giorno che il fato t'aggiunge
metti a guadagno e non sdegnare, giovane,
i dolci amori, e non le danze,
finché nell'eta verde triste canizie
ti è lontana. Ora torna a cercare
il campo e le piazze e i tenui sussurri
all'ora convenuta della sera,
e il riso delizioso che tradisce
la giovane nascosta nell'oscuro
canto, e il pegno che le cogli dai polsi
da un dito, a lei che appena resiste.
Quinto Orazio Flacco
giovedì 19 aprile 2012
Bellezza variegata
Sia gloria a Dio per le cose screziate,
Per i cieli di vario colore come le mucche chiazzate,
Per le macchie rosa punteggiate sulla trota che nuota;
Per le castagne fresche cadute come brage accesa, per le ali dei fringuelli;
Per i paesaggi divisi e pezzati, chiuso, maggese e campo arato;
E tutte le arti e gli arnesi e gli strumenti e gli ordigni.
Tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane;
Tutto ciò che è mutevole e - chi sa conte - maculato:
Veloce, lento; dolce, aspro; vivido e opaco;
Per i cieli di vario colore come le mucche chiazzate,
Per le macchie rosa punteggiate sulla trota che nuota;
Per le castagne fresche cadute come brage accesa, per le ali dei fringuelli;
Per i paesaggi divisi e pezzati, chiuso, maggese e campo arato;
E tutte le arti e gli arnesi e gli strumenti e gli ordigni.
Tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane;
Tutto ciò che è mutevole e - chi sa conte - maculato:
Veloce, lento; dolce, aspro; vivido e opaco;
Per tutte queste bellezze sia Egli, la cui bellezza ogni mutamento
trascende, lodato.
Gerald Manley Hopkins
martedì 17 aprile 2012
Nessuno degnò
Nessuno degnò calcolare il sole e il suo
straziante dolore umano in quella eterna
lagrimosa gioconda aurora d'artiglierie
Filippo Tommaso Marinetti
domenica 15 aprile 2012
Al di fuori di questo pianeta
Al di fuori di questo pianeta, pensai, non c'è nulla, ed è così desolato.
È il nostro solo rifugio,
e questo è fatto così.
Bertolt Brecht
L'approdo
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro di sè mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati,
E siede a bere all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte,
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
Che lascia dietro di sè mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati,
E siede a bere all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte,
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
sabato 14 aprile 2012
Ballata delle donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
Edoardo Sanguineti
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
Edoardo Sanguineti
venerdì 13 aprile 2012
Un fiore donato a mia figlia
Diafana la bianca rosa e diafane
mani di lei che diedero,
anima vizza e pallida più
che la smunta onda del tempo.
Rosediafane e belle - ma più diafana
selvaggia meraviglia
nei miti occhi tu veli,
mia bambina azzurrovenata.
mani di lei che diedero,
anima vizza e pallida più
che la smunta onda del tempo.
Rosediafane e belle - ma più diafana
selvaggia meraviglia
nei miti occhi tu veli,
mia bambina azzurrovenata.
James Joyce
mercoledì 11 aprile 2012
Speranza
Il gigantesco rovere abbattuto
l'intero inverno giacque sulla zolla,
mostrando, in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant'anni che ha vissuto.
Ma poi che Primavera ogni corolla
dischiuse con le mani di velluto,
dai monchi nodi qua e là rampolla
e sogna ancora d'essere fronzuto.
Rampolla e sogna - immemore di scuri -
l'eterna volta cerula e serena
e gli ospiti canori e i frutti e l'ire
aquilonari e i secoli futuri...
Non so perché mi faccia tanta pena
quel moribondo che non vuol morire!
Guido Gozzano
l'intero inverno giacque sulla zolla,
mostrando, in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant'anni che ha vissuto.
Ma poi che Primavera ogni corolla
dischiuse con le mani di velluto,
dai monchi nodi qua e là rampolla
e sogna ancora d'essere fronzuto.
Rampolla e sogna - immemore di scuri -
l'eterna volta cerula e serena
e gli ospiti canori e i frutti e l'ire
aquilonari e i secoli futuri...
Non so perché mi faccia tanta pena
quel moribondo che non vuol morire!
Guido Gozzano
martedì 10 aprile 2012
Lavorare stanca
I due, stesi sull'erba, vestiti, si guardano in faccia
tra gli steli sottili: la donna gli morde i capelli
e poi morde nell'erba. Sorride scomposta, tra l'erba.
L'uomo afferra la mano sottile e la morde
e s'addossa col corpo. La donna gli rotola via.
Mezza l'erba del prato è così scompigliata.
La ragazza, seduta, s'aggiusta i capelli
e non guarda il compagno, occhi aperti, disteso.
Tutti e due, a un tavolino, si guardano in faccia
nella sera, e i passanti non cessano mai.
Ogni tanto un colore più gaio li distrae.
Ogni tanto lui pensa all'inutile giorno
di riposo, trascorso a inseguire costei,
che è felice di stargli vicina e guardarlo negli occhi.
Se le tocca col piede la gamba, sa bene
che si danno a vicenda uno sguardo sorpreso
e un sorriso, e la donna è felice. Altre donne che passano
non lo guardano in faccia, ma almeno si spogliano
con un uomo stanotte. O che forse ogni donna
ama solo chi perde il suo tempo per nulla.
Tutto il giorno si sono inseguiti e la donna è ancor rossa
alle guance, dal sole. Nel cuore ha per lui gratitudine.
Lei ricorda un baciozzo rabbioso scambiato in un bosco,
interrotto a un rumore di passi, e che ancora la brucia.
Stringe a sè il mazzo verde - raccolto sul sasso
di una grotta - di bel capevenere e volge al compagno
un'occhiata struggente. Lui fissa il groviglio
degli steli nericci tra il verde tremante
e ripensa alla voglia di un altro groviglio,
presentito nel grembo dell'abito chiaro,
che la donna gli ignora. Nemmeno la furia
non gli vale, perché la ragazza, che lo ama, riduce
ogni assalto in un bacio c gli prende le mani.
Ma stanotte, lasciatala, sa dove andrà:
tornerà a casa rotto di schiena e intontito,
ma assaporerà almeno nel corpo saziato
la dolcezza del sonno sul letto deserto.
Solamente, e quest'è la vendetta, s'immaginerà
che quel corpo di donna, che avrà come suo, sia,
senza pudori, in libidine, quello di lei.
Cesare Pavese
lunedì 9 aprile 2012
1909
La signora aveva un vestito
In ottomano viola scarlatto
E la sua tunica ricamata d'oro
Era composta di due pannelli
Che s'attaccavano sulle spalle
Gli occhi danzanti come angeli
Rideva rideva
Aveva un viso dai colori di Francia
Gli occhi blu i denti bianchi e le labbra molto rosse
Aveva un viso dai colori di Francia
Era scollata in rotondo
E pettinata alla Recamier
Con belle braccia nude
Non si sentirà mai suonare la mezzanotte
La signora nel vestito di ottomano viola scarlatto
E in tunica ricamata d'oro
Scollata in rotondo
Portava a passeggio i suoi riccioli
La sua fascia d'oro
E trascinava le scarpette con le fibbie
Era così bella
Che non avresti osato amarla
Amavo le donne atroci nei quartieri enormi
Dove nasceva ogni giorno qualche essere nuovo
Il ferro era il loro sangue la fiamma il cervello
Amavo amavo il popolo abile delle macchine
Il lusso e la bellezza sono solamente la sua schiuma
Quella donna era così bella
Che mi faceva paura.
In ottomano viola scarlatto
E la sua tunica ricamata d'oro
Era composta di due pannelli
Che s'attaccavano sulle spalle
Gli occhi danzanti come angeli
Rideva rideva
Aveva un viso dai colori di Francia
Gli occhi blu i denti bianchi e le labbra molto rosse
Aveva un viso dai colori di Francia
Era scollata in rotondo
E pettinata alla Recamier
Con belle braccia nude
Non si sentirà mai suonare la mezzanotte
La signora nel vestito di ottomano viola scarlatto
E in tunica ricamata d'oro
Scollata in rotondo
Portava a passeggio i suoi riccioli
La sua fascia d'oro
E trascinava le scarpette con le fibbie
Era così bella
Che non avresti osato amarla
Amavo le donne atroci nei quartieri enormi
Dove nasceva ogni giorno qualche essere nuovo
Il ferro era il loro sangue la fiamma il cervello
Amavo amavo il popolo abile delle macchine
Il lusso e la bellezza sono solamente la sua schiuma
Quella donna era così bella
Che mi faceva paura.
Guillaume Apollinaire
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